È difficile stendere una vera e propria Storia di Pavarolo, evitando le secche provocate da una documentazione assai lacunosa, o senza cedere alla tentazione di supplire con l'immaginazione a vuoti che, numerosi, riguardano decenni ed in molti casi anche secoli.
La storia di Pavarolo, come quella di numerosi piccoli centri vicini, coincise infatti per moltissimi secoli con quella di Chieri, da cui il paese dipendeva allo stesso modo, come non è possibile scrivere "la Storia" di un gruppo di case all'interno di una città, così non si può fare una storia indipendente e a sé stante per Pavarolo, evitando di rimanere nel generico o di incorrere in falsi storici.
Le fonti disponibili, infatti quasi mai parlano di Pavarolo come entità separata dal suo contesto: è più frequente che il nome del paese compaia all'interno di elenchi, unito di volta in volta, a quasi tutti i centri a nord est di Chieri.
Quella che segue, dunque, più che una storia è l'elencazione cronologica di fatti che accaddero a Pavarolo, e dei quali sovente i pavarolesi furono più spettatori che protagonisti, quando non addirittura vittime.
La storia di Pavarolo, come quella di numerosi piccoli centri vicini, coincise infatti per moltissimi secoli con quella di Chieri, da cui il paese dipendeva allo stesso modo, come non è possibile scrivere "la Storia" di un gruppo di case all'interno di una città, così non si può fare una storia indipendente e a sé stante per Pavarolo, evitando di rimanere nel generico o di incorrere in falsi storici.
Le fonti disponibili, infatti quasi mai parlano di Pavarolo come entità separata dal suo contesto: è più frequente che il nome del paese compaia all'interno di elenchi, unito di volta in volta, a quasi tutti i centri a nord est di Chieri.
Quella che segue, dunque, più che una storia è l'elencazione cronologica di fatti che accaddero a Pavarolo, e dei quali sovente i pavarolesi furono più spettatori che protagonisti, quando non addirittura vittime.
Non esistono notizie storiche o tradizioni sulla fondazione di Pavarolo. Non sappiamo dunque quando si costituì il primo nucleo da cui prese origine il paese, ma è una buona ipotesi supporre che i primi insediamenti furono successivi all'età romana.
Di quei tempi, a differenza di quanto accadde per qualche centro vicino ma soprattutto per quelli della pianura, non risultano infatti rinvenimenti archeologici che dimostrino la presenza di abitazioni, specie sulla collina dove oggi sorge il paese.
Inoltre, in epoca romana, a valle di Pavarolo non esistevano vie di comunicazione tali da giustificare la presenza di insediamenti stabili, ed è ragionevole supporre che tutta la zona fosse coperta da boschi. Alcune fonti citano infatti la presenza di foreste miste di latifoglie (soprattutto querce) e pini silvestri, e nominano una località detta Silva Salsa, che presumibilmente si trovava tra Bardassano e Pavarolo.
Appare perciò verosimile collegare la nascita del paese alla costruzione del castello (anche questa in data incerta) o alla comparsa a fondovalle della via di comunicazione tra Astigiano e Chivassese. Nei pressi del castello, comunque, si raggrupparono le case dei primi abitanti, pronti a rinchiudersi nella fortezza ogni volta che lo imponevano quei tempi turbinosi.
Il primo documento scritto che permette di uscire dal campo delle ipotesi è del 1° maggio 1047: in quella data l'imperatore Enrico III confermò i possessi e i privilegi dei canonici torinesi del Salvatore, enumerandone i molti possedimenti in terra chierese.
Tra essi, oltre ad Arignano, Andezeno, Santena e ad altri centri oggi scomparsi, c'è anche Pavarolo, col castello e la cappella di S. Secondo.
Questo documento è di estrema importanza per la nostra storia: attesta in modo inequivocabile che nel secolo XI Pavarolo esiste, e vi ha sede un castello.
Per amore di completezza, dobbiamo anche ricordare che, secondo alcuni autori, il nome di Pavarolo comparirebbe già in un documento di data incerta, comunque precedente al 1000, in cui Ottone III conferma i possessi del vescovo di Torino Amizone, enumerando centri in questione.
Di questo documento esiste solo una copia del sec. XII sulla cui completezza e veridicità ci sono molti dubbi, compreso quello che alcuni nomi di paesi siano stati aggiunti in epoche posteriori.
Per quanto riguarda il castello, non esistono fonti che spieghino i motivi per cui fu costruito. Non sappiamo dunque se prevalse lo scopo strategico-militare, nel quadro di uno schieramento difensivo attorno a Torino, o se (come appare più probabile) si trattò di una corte forticata, con prevalente significato economico-commerciale.
In ogni caso, a partire dal 1100, Chieri inizia a trarre vantaggio dalla ormai sensibile crisi del potere imperiale,sempre più incapace a gestire le province periferiche.
Verso il 1150 la città è quasi libera, ed i vescovi di Torino non hanno più altro diritto se non quello di riscuotere le imposte.
Nel 1155', però, l'imperatore Barbarossa attacca la città e ne rade al suolo le torri: nove anni più tardi, nel 1164, assegna Pavarolo a Guglielmo, marchese del Monferrato.
Negli anni che seguiranno, i chieresi cercheranno di destreggiarsi fra vecchi e nuovi padroni in modo da allargare nei fatti la propria autonomia. Questa verrà ufficialmente sancita nel 1238, quando l'imperatore Federico II dichiarerà Chieri soggetta alla sua autorità e quindi, in effetti libera da vincoli di altra natura.
Per i piccoli centri del circondario sì pose perciò l'alternativa tra uno scontro o un'alleanza, mediante un atto di sottomissione al potente vicino che avrebbe offerto, in quei tempi turbolenti, qualche protezione e sicurezza in più.
Pavarolo scelse fa via più pacifica e realista, e risale al 1235 l'atto con cui il comune di Chieri riconosce come cittadini e confederati i signori di Baldissero, Marentino, Montaldo e Pavarolo.
È invece del 3 novembre 1264 la cessione di Pavarolo ai figli e ad una nipote del cittadino chieresce Segnorino Balbo, fatta dal vescovo di Torino Goffredo di Montanaro.
Nel 1289, parte del castello è ancora in possesso di un altro chierese, Segnorino Melano, che dichiara di possedere, nell'elenco dei suoi beni, oltre a vigne, boschi e prati, anche "metà prò indiviso del castello di Pavarolo, della quale metà, metà di un terzo acquistaida Oddone Segnorino e l'altra mela che fu di Oddone Segnorino la vendetti a Giacomo Ghirardo e al fratello Centorio, la Qual metà tengo in feudo dal vescovo di Torino".
All'epoca, dunque, i signori di Pavarolo si trovavano ad essere contemporaneamente vassalli del vescovo e cittadini di Chieri.
Di quei tempi, a differenza di quanto accadde per qualche centro vicino ma soprattutto per quelli della pianura, non risultano infatti rinvenimenti archeologici che dimostrino la presenza di abitazioni, specie sulla collina dove oggi sorge il paese.
Inoltre, in epoca romana, a valle di Pavarolo non esistevano vie di comunicazione tali da giustificare la presenza di insediamenti stabili, ed è ragionevole supporre che tutta la zona fosse coperta da boschi. Alcune fonti citano infatti la presenza di foreste miste di latifoglie (soprattutto querce) e pini silvestri, e nominano una località detta Silva Salsa, che presumibilmente si trovava tra Bardassano e Pavarolo.
Appare perciò verosimile collegare la nascita del paese alla costruzione del castello (anche questa in data incerta) o alla comparsa a fondovalle della via di comunicazione tra Astigiano e Chivassese. Nei pressi del castello, comunque, si raggrupparono le case dei primi abitanti, pronti a rinchiudersi nella fortezza ogni volta che lo imponevano quei tempi turbinosi.
Il primo documento scritto che permette di uscire dal campo delle ipotesi è del 1° maggio 1047: in quella data l'imperatore Enrico III confermò i possessi e i privilegi dei canonici torinesi del Salvatore, enumerandone i molti possedimenti in terra chierese.
Tra essi, oltre ad Arignano, Andezeno, Santena e ad altri centri oggi scomparsi, c'è anche Pavarolo, col castello e la cappella di S. Secondo.
Questo documento è di estrema importanza per la nostra storia: attesta in modo inequivocabile che nel secolo XI Pavarolo esiste, e vi ha sede un castello.
Per amore di completezza, dobbiamo anche ricordare che, secondo alcuni autori, il nome di Pavarolo comparirebbe già in un documento di data incerta, comunque precedente al 1000, in cui Ottone III conferma i possessi del vescovo di Torino Amizone, enumerando centri in questione.
Di questo documento esiste solo una copia del sec. XII sulla cui completezza e veridicità ci sono molti dubbi, compreso quello che alcuni nomi di paesi siano stati aggiunti in epoche posteriori.
Per quanto riguarda il castello, non esistono fonti che spieghino i motivi per cui fu costruito. Non sappiamo dunque se prevalse lo scopo strategico-militare, nel quadro di uno schieramento difensivo attorno a Torino, o se (come appare più probabile) si trattò di una corte forticata, con prevalente significato economico-commerciale.
In ogni caso, a partire dal 1100, Chieri inizia a trarre vantaggio dalla ormai sensibile crisi del potere imperiale,sempre più incapace a gestire le province periferiche.
Verso il 1150 la città è quasi libera, ed i vescovi di Torino non hanno più altro diritto se non quello di riscuotere le imposte.
Nel 1155', però, l'imperatore Barbarossa attacca la città e ne rade al suolo le torri: nove anni più tardi, nel 1164, assegna Pavarolo a Guglielmo, marchese del Monferrato.
Negli anni che seguiranno, i chieresi cercheranno di destreggiarsi fra vecchi e nuovi padroni in modo da allargare nei fatti la propria autonomia. Questa verrà ufficialmente sancita nel 1238, quando l'imperatore Federico II dichiarerà Chieri soggetta alla sua autorità e quindi, in effetti libera da vincoli di altra natura.
Per i piccoli centri del circondario sì pose perciò l'alternativa tra uno scontro o un'alleanza, mediante un atto di sottomissione al potente vicino che avrebbe offerto, in quei tempi turbolenti, qualche protezione e sicurezza in più.
Pavarolo scelse fa via più pacifica e realista, e risale al 1235 l'atto con cui il comune di Chieri riconosce come cittadini e confederati i signori di Baldissero, Marentino, Montaldo e Pavarolo.
È invece del 3 novembre 1264 la cessione di Pavarolo ai figli e ad una nipote del cittadino chieresce Segnorino Balbo, fatta dal vescovo di Torino Goffredo di Montanaro.
Nel 1289, parte del castello è ancora in possesso di un altro chierese, Segnorino Melano, che dichiara di possedere, nell'elenco dei suoi beni, oltre a vigne, boschi e prati, anche "metà prò indiviso del castello di Pavarolo, della quale metà, metà di un terzo acquistaida Oddone Segnorino e l'altra mela che fu di Oddone Segnorino la vendetti a Giacomo Ghirardo e al fratello Centorio, la Qual metà tengo in feudo dal vescovo di Torino".
All'epoca, dunque, i signori di Pavarolo si trovavano ad essere contemporaneamente vassalli del vescovo e cittadini di Chieri.
- 1047 - Nella carta di Arrigo III Pavarolium è affidata ai canonici del Salvatore di Torino.
- 1164 - L'imperatore Federico assegna il paese a Guglielmo, marchese del Monferrato.
- 1235 - II comune di Chieri riconosce come cittadini e confederati i signori di Baldissero, Marentino, Montaldo e Pavarolo.
- 1264 - 3 Novembre: Il vescovo Goffredo di Montanaro assegna in feudo Pavarolo ai parenti di Segnorino Balbo.
- 1369 - Facino Cane, comandante dei Monferrini, attacca Pavarolo ed impone pesanti riscatti agli abitanti.
- 1400 - 5 Maggio: I Chieresi riprendono al nemico Pavarolo.
- 1706 - Giugno: I francesi che assediano Torino occupano Bardassano, Pavarolo e Sciolze per spezzare la linea di difesa apprestata dal generale Daun.
- 1781 - 17 Gennaio: La parrocchia di Pavarolo diventa autonoma, cessando di dipendere da quella di Montaldo.
- 1792 - 22 Giugno: Una tromba d'aria e una furiosa grandinata devastano Pavarolo e Montaldo.
- 1902 - Marzo: Fermenti a Tetti Varetto a causa di un lascito per il finanziamento di una scuola nella frazione.
- 1926 - 9 Agosto: È aperta la sede pavarolese del Partito Fascista.
- 1935 - 12 Maggio: Nasce il gruppo pavarolese dell'Associazione Nazionale Alpini.
- 1945 - 24 Aprile: Da Pavarolo i partigiani impartiscono l'ordine di attaccare Torino.
- 1945 - 26 Maggio: Felice Casorati è il primo sindaco di Pavarolo libera.
Lo stemma del comune di Pavarolo consiste in uno scudo di foggia sannitica moderna interzato (cioè diviso) da una sbarra. Nella parte superiore sinistra, in color mattone, è raffigurata la torre campanaria simbolo del paese, con il relativo orologio.
Nella parte inferiore destra si trova un leone rampante di color oro, che vuole ricordare la terra e la vigorosa e solerte gente del paese.
Il leone stringe nelle zampe come vessillo una spiga di grano (di colore giallo e nero), a ricordare il più tipico dei prodotti agricoli locali.
All'interno della sbarra che divide lo scudo è situata una fila di sette stelle che sinboleggiano gli altri giorni della settimana: quella più in alto è d'oro, per ricordare la domenica, mentre le altre sono d'argento.
Lo scudo ha il bordo rosso, come la sbarra mentre lo sfondo è bianco ed il tutto è sormontato dalla corona di comune, ed ha lo sfondo bianco.
Alla base dello stemma, due fronde incrociate di quercia ed alloro reggono un nastro con la scritta "Amicitia et concordia sempiterne regnant", cioè "'amicizia e la concordia regnano in eterno".
Dopo 35 anni dalla richiesta è arrivato per Pavarolo nuovo stemma comunale. Ci sono voluti 35 anni, ma adesso anche Pavarolo si può fregiare di uno stemma e di un gonfalone raffiguranti quelli che sono stati considerati i simboli storici del paese.
La vicenda comincia nel 1949, quando gli amministratori del tempo demandarono alla ditta Colaianni di Genova, specializzata nelle ricerche di araldica, di studiare una composizione ideale dello stemma. Un abbozzo pare se ne fosse ricavato, e forse si cominciò ad interessarne pure le autorità centrali, ma non si spinse il procedimento a sufficienza, e la pratica si perse nel tempo.
Trent'anni dopo, nel 1980, la nuova Amministrazione, in testa il sindaco Enrico Roccati, decise di ritornare sulla faccenda, ma ne le ricerche negli archivi di Stato, ne quelle presso la ditta genovese dettero frutto.
Si rimise cosi mano daccapo ad una ricostruzione dei simboli principi del paese collinare, guardando al presente e a ciò che del passato resta, di visivamente concreto o di vivo nella memoria storica.
Cosi, si è elaborato il blasone ed un macchinoso iter, concluso col prescritto Decreto del Presidente della Repubblica, l'ha fatto registrare nel Registro araldico dell'Archivio centrale di Stato.
Ora che le procedure sono ultimate, se ne può ordinare la realizzazione e, infatti, la prima riunione del Consiglio ha in programma la discussione dell'appalto. Secondo la bozza a cui hanno messo mano i pittori pavarolesi Aimone e Leccioli, vi sarà raffigurata, in uno scudo di foggia sannitica, interzato da una sbarra diagonale, una torre campanaria, posta nella parte superiore sinistra, che richiama una delle cento torri del Comune di Chieri (da cui Pavarolo dipese) e l'attuale torre civica.
Nella parte inferiore destra, invece, sempre in, campo argento, un leone rampante colore oro, emblema dei conti Ferreri d'Ormea, feudatari nel XV secolo, e dei vescovi di Torino, che possedettero il paese nei primi secoli di cui si ha notizia, vale a dire dal X secolo. Il leone regge una spiga di grano, prodotto tipico di un paese agricolo come Pavarolo. All'interno della sbarra diagonale, rossa, sette stelle come i giorni della settimana, sei d'argento più la domenica, d'oro.
Al di sotto dello scudo, un drappeggio col beneaugurante motto "Amicitia et Concordia sempiterne regnant".
Nella parte inferiore destra si trova un leone rampante di color oro, che vuole ricordare la terra e la vigorosa e solerte gente del paese.
Il leone stringe nelle zampe come vessillo una spiga di grano (di colore giallo e nero), a ricordare il più tipico dei prodotti agricoli locali.
All'interno della sbarra che divide lo scudo è situata una fila di sette stelle che sinboleggiano gli altri giorni della settimana: quella più in alto è d'oro, per ricordare la domenica, mentre le altre sono d'argento.
Lo scudo ha il bordo rosso, come la sbarra mentre lo sfondo è bianco ed il tutto è sormontato dalla corona di comune, ed ha lo sfondo bianco.
Alla base dello stemma, due fronde incrociate di quercia ed alloro reggono un nastro con la scritta "Amicitia et concordia sempiterne regnant", cioè "'amicizia e la concordia regnano in eterno".
Dopo 35 anni dalla richiesta è arrivato per Pavarolo nuovo stemma comunale. Ci sono voluti 35 anni, ma adesso anche Pavarolo si può fregiare di uno stemma e di un gonfalone raffiguranti quelli che sono stati considerati i simboli storici del paese.
La vicenda comincia nel 1949, quando gli amministratori del tempo demandarono alla ditta Colaianni di Genova, specializzata nelle ricerche di araldica, di studiare una composizione ideale dello stemma. Un abbozzo pare se ne fosse ricavato, e forse si cominciò ad interessarne pure le autorità centrali, ma non si spinse il procedimento a sufficienza, e la pratica si perse nel tempo.
Trent'anni dopo, nel 1980, la nuova Amministrazione, in testa il sindaco Enrico Roccati, decise di ritornare sulla faccenda, ma ne le ricerche negli archivi di Stato, ne quelle presso la ditta genovese dettero frutto.
Si rimise cosi mano daccapo ad una ricostruzione dei simboli principi del paese collinare, guardando al presente e a ciò che del passato resta, di visivamente concreto o di vivo nella memoria storica.
Cosi, si è elaborato il blasone ed un macchinoso iter, concluso col prescritto Decreto del Presidente della Repubblica, l'ha fatto registrare nel Registro araldico dell'Archivio centrale di Stato.
Ora che le procedure sono ultimate, se ne può ordinare la realizzazione e, infatti, la prima riunione del Consiglio ha in programma la discussione dell'appalto. Secondo la bozza a cui hanno messo mano i pittori pavarolesi Aimone e Leccioli, vi sarà raffigurata, in uno scudo di foggia sannitica, interzato da una sbarra diagonale, una torre campanaria, posta nella parte superiore sinistra, che richiama una delle cento torri del Comune di Chieri (da cui Pavarolo dipese) e l'attuale torre civica.
Nella parte inferiore destra, invece, sempre in, campo argento, un leone rampante colore oro, emblema dei conti Ferreri d'Ormea, feudatari nel XV secolo, e dei vescovi di Torino, che possedettero il paese nei primi secoli di cui si ha notizia, vale a dire dal X secolo. Il leone regge una spiga di grano, prodotto tipico di un paese agricolo come Pavarolo. All'interno della sbarra diagonale, rossa, sette stelle come i giorni della settimana, sei d'argento più la domenica, d'oro.
Al di sotto dello scudo, un drappeggio col beneaugurante motto "Amicitia et Concordia sempiterne regnant".