Descrizione
Ambiente
Campi coltivati ma anche boschi di latifoglie, prati e vigneti: dal punto di vista naturalistico, il territorio del comune di Pavarolo presenta molti tra gli ambienti che caratterizzano i centri della collina torinese.
Il panorama agricolo è certo prevalente: il lavoro di generazioni di contadini ha profondamente modificato i terreni più fertili, specie quelli a fondovalle o meglio esposti.
In tempi recenti, la sempre maggiore meccanizzazione dell'agricoltura ha relegato la flora spontanea ai margini delle strade o alle rive dei piccoli corsi d'acqua, segnando la fine delle siepi e di tutta la flora definita, forse un po' troppo sbrigativamente, "infestante".
Le pratiche agricole, e la presenza di insediamenti umani sul territorio, hanno anche avuto un effetto limitante sulla fauna selvatica, diradata in quanto a varietà di specie e numero di esemplari.
Per ritrovare, almeno in parte, quello che poteva essere l'ambiente naturale dei secoli scorsi, occorre spostarsi nella parte più settentrionale del territorio comunale, verso Bardassano e Cordova.
In queste aree, caratterizzate da un rilievo più mosso, sopravvivono i resti di quei boschi che un tempo non lontano coprivano una parte significativa del territorio comunale. Nel suo Dizionario, infatti, Goffredo Casalis nel 1846 scriveva che il suolo produce una discreta quantità di cereali, uve e altra frutta, tra cui primeggiano le pesche.
Una quinta parte del territorio è imboschita. Accennavamo ai corsi d'acqua: i rii Morto, Rossola e delle Boie, oltre a soffrire d'inquinamento, sono in secca per molti mesi l'anno, tanto da non apparire come elementi caratteristici di particolari ambienti naturali.
Un viaggio alla scoperta delle caratteristiche naturali del territorio pavarolese deve però iniziare con qualche breve accenno alle caratteristiche geologiche della zona.
Pavarolo si trova all'interno della porzione occidentale (la Collina di Torino) di un piccolo rilievo collinare che si sviluppa lungo la sponda destra del Po, in una fascia compresa all'incirca tra Moncalieri e Valenza.
Si tratta di una particolare catena di rilievi, isolata nella pianura piemontese, che si è formata contemporaneamente alle ultime fasi dell'orogenesi (letteralmente formazione di montagne) che ha portato alla comparsa delle Alpi e dell'Appennino settentrionale. ssa è costituita da sedimenti marini che risalgono all'Età Terziaria (principalmente all'Eocene, Oligocene e Miocene, da 55 a 5 milioni di anni fa), e che sono ricchi di fossili (principalmente gasteropodi, cefalopodi e pteropodi), in grado di indicare agli scienziati la profondità e le caratteristiche dei mari in cui essi hanno vissuto.
Alcune domande sorgono perciò spontanee.
Come si è formato il rilievo? Perché le rocce che lo compongono contengono fossili marini? Ciò significa che, un tempo, nella zona c'era il mare? Si tratta di domande comuni, che tuttavia non permettono risposte semplici.
Proviamo ad immaginare com'era 55 milioni di anni fa una zona localizzata nel territorio dove oggi si trovano gli abitati di Pavarolo, Chieri, Pino Torinese, ecc. La Pianura Padana e la stessa Italia, così come noi la conosciamo adesso, non esistevano. C'erano, invece, altre terre emerse, separate tra loro da un mare profondo.
Entro questo mare, vivevano e si sviluppavano, esattamente come oggi,piante ed animali (pesci, molluschi, crostacei), mentre i sedimenti ed i prodotti dell'erosione si depositavano senza fretta. Ed ecco che, assai lentamente, il margine occidentale di questo mare si solleva (con movimenti dell'ordine di 5 mm l'anno) per effetto dei movimenti legati alla formazione della catena alpina.
I sedimenti che si erano depositati sul fondo vengono sollevati, trasportati, e finiscono per emergere alla fine del periodo miocenico, 5 milioni di anni fa.
Il sollevamento, poi, continuò nella parte orientale e meridionale, dando origine alle colline astigiane.
L'abitato di Pavarolo sorge sopra un complesso di rocce sedimentarie marine detto Complesso di Baldissero, una serie di sabbie, argille e conglomerati che si è depositata circa 15-20 milioni fa lungo il margine occidentale del mare cui abbiamo accennato.
Queste rocce ospitano una ricca fauna fossile, soprattutto di gasteropodi, anche se non mancano coralli e cefalopodi: si tratta di resti che testimoniano quanto era ricca di forme e di specie la vita che era ospitata in quel mare preistorico.
Flora
La parte più collinare del comune di Pavarolo, verso Bardassano e Cordova, ha avuto un destino analogo a quello della collina torinese.
"Scoperta" in epoca ottocentesca, con la costruzione delle prime vigne, nelle quali i torinesi potevano trascorrere i fine settimana ed il periodo estivo lontani dalla città, è stata poi al centro di una vivace espansione edilizia, i cui effetti sono facilmente rilevabili anche a Pavarolo.
A farne le spese maggiori è stato il bosco, che in origine ricopriva come un manto ininterrotto tutta la collina: la Silva salsa, che probabilmente si trovava tra Bardassano e Pavarolo, è solo un ricordo, citata su qualche documento antico.
L'attacco al bosco iniziò nel Medioevo, quando pini silvestri e querce, gli alberi più caratteristici di quei popolamenti misti di latifoglie e conifere, cominciarono ad essere abbattuti per fare posto a campi e prati.
Dove il terreno, troppo scosceso, non si prestava alla coltivazione, venne introdotto il castagno, utile sia per i frutti, sia per i pali da usare per sostenere i filari di viti.
Un ulteriore affronto per il bosco collinare avvenne nel '700, quando iniziò ad essere diffusa la robinia (Robinia pseudacacià), cioè la notissima gaggia.
Un seme della pianta, che è originaria dell'America settentrionale e centrale, fu donato a Jean Robin, erborista di Enrico IV di Francia, verso il 1630: egli la fece conoscere in Europa.
La pianta rimase sconosciuta in Italia fin verso il XVII secolo: sulla collina torinese, si propagò in modo massiccio a partire dal 1750, quando lo stesso Carlo Emanuele III ne suggerì la messa a dimora per arginare gli estesi movimenti franosi innescati dalle abbondanti piogge di quegli anni.
Da allora, i contadini furono i migliori alleati della straordinaria vitalità della pianta, diffondendola per trarre vantaggio dalla sua rapidità di crescita, e dalla capacità di produrre buoni pali, foraggio ed ottimo combustibile.
Il colpo di grazia all'equilibrio ecologico della collina, però, venne dato dall'espansione edilizia del dopoguerra, assai più sensibile sul versante torinese: tra case e strade asfaltate il bosco, pesantemente intaccato, progressivamente si ritira.
I boschi che ancora esistono in territorio pavarolese, sovente appaiono piuttosto degradati, anche a causa del governo a ceduo, che impedisce la formazione di una fustaia.
Anche se la robinia è la specie in maggiore espansione, sopravvivono però specie più nobili, che caratterizzano il bosco misto di latifoglie.
Tra esse, citeremo soprattutto il castagno (Castanea saliva) e la farnia (Quercus robur), che caratterizzano i consorzi forestali che si incontrano con maggior frequenza.
Ad essi, aggiungeremo qualche rovere (Quercus petraea), la roverella (Quercus pubescens), il frassino (Fraxinus excelsior), il carpino (Carpinus betulus), l'acero campestre (Acercampestre), l'ontano nero (Alnus glutinosa), il pioppo bianco (Populus alba), il ciliegio (Prunus avium).
Anche il sottobosco si presenta vario ed interessante: vi si trovano in abbondanza il nocciolo (Corylus avellana), il sambuco (Sambucus nigra), la fusaggine (Euonymus europaeus), la frangola (Frangula alnus), il biancospino (Crataegus monogyna), la rosa canina (Rosa carlina), il rovo (Robus fruticosus), l'edera (Hedera helix), le felci (ad esempio Dryopterisfìlix-mas), il ligustro (Ligustrum ovali), per citare solo alcune tra le piante più note.
Fauna
Pur presentando una discreta varietà di specie, la fauna che vive sul territorio pavarolese non presenta particolare interesse.
Tra i mammiferi, è da segnalare la presenza della volpe (Vulpes vulpes), della lepre (Lepus capensis), dello scoiattolo (Sciurus vulgaris), del ghiro (Glisglis), del tasso (Melos melos), della faina (Martes foina), della talpa (Talpa europaea), del riccio (Erinaceus europaeus), del pipistrello (gen. Pipistrellus).
Più vario il panorama per quanto riguarda gli uccelli: tra i rapaci, sono segnalati il gufo (Asio otus), la civetta(Athene noctua), l'allocco (Strix aluco).
A loro, si aggiungono il fagiano (Phasianus colchicus), il colombaccio (Columba palumbus), il cuculo (Cuculus canorus), il pettirosso (Erithacus rubecola), lo storno (Sturnus vulgaris) e, specie in pianura, la gazza (Pica pica), il orvo (Corvus frugilegus) e la cornacchia (Corvus cornis).
Tra i rettili, è degna di nota la presenza dell'orbettino (Anguisfragilis), del ramarro (Lacerici viridis).
Sono presenti anche il colubro di Esculapio (Elaphe longissima longissima), della vipera (Vipera aspis).
Per quanto riguarda gli anfibi, si segnala la presenza della rana dalmatina (Rana dalmatina), del rospo (Bufo bufo) e della salamandra (Salamandra salamandra).
In passato, quando l'azione distruttiva dell'uomo sulla fauna era meno pesante di oggi, anche nella zona di Pavarolo c'era una maggiore varietà di specie animali.
Una testimonianza interessante e preziosa di quali potevano essere gli animali più rari, in particolare uccelli, un tempo presenti nel Chierese, è data dal museo di scienze naturali dell'Istituto della Sacra Famiglia a Villa Brea, alle porte di Chieri.
In esso sono conservate parecchie decine di animali imbalsamati, per la maggior parte provenienti dalla collezione di Francesco Rubatto, che la donò all'Istituto.
Nel museo, si conservano fra gli altri anche un esemplare di falco pescatore (Pandion haliaetus haliaetus) abbattuto nel 1938 presso il lago di Arignano, e un'aquila reale, abbattuta a Mombello Torinese nel 1952.
Si tratta di due rapaci di grandi dimensioni che, nei loro voli alla ricerca di cibo, non è escluso che, qualche volta, abbiano percorso anche i cieli di Pavarolo.
Campi coltivati ma anche boschi di latifoglie, prati e vigneti: dal punto di vista naturalistico, il territorio del comune di Pavarolo presenta molti tra gli ambienti che caratterizzano i centri della collina torinese.
Il panorama agricolo è certo prevalente: il lavoro di generazioni di contadini ha profondamente modificato i terreni più fertili, specie quelli a fondovalle o meglio esposti.
In tempi recenti, la sempre maggiore meccanizzazione dell'agricoltura ha relegato la flora spontanea ai margini delle strade o alle rive dei piccoli corsi d'acqua, segnando la fine delle siepi e di tutta la flora definita, forse un po' troppo sbrigativamente, "infestante".
Le pratiche agricole, e la presenza di insediamenti umani sul territorio, hanno anche avuto un effetto limitante sulla fauna selvatica, diradata in quanto a varietà di specie e numero di esemplari.
Per ritrovare, almeno in parte, quello che poteva essere l'ambiente naturale dei secoli scorsi, occorre spostarsi nella parte più settentrionale del territorio comunale, verso Bardassano e Cordova.
In queste aree, caratterizzate da un rilievo più mosso, sopravvivono i resti di quei boschi che un tempo non lontano coprivano una parte significativa del territorio comunale. Nel suo Dizionario, infatti, Goffredo Casalis nel 1846 scriveva che il suolo produce una discreta quantità di cereali, uve e altra frutta, tra cui primeggiano le pesche.
Una quinta parte del territorio è imboschita. Accennavamo ai corsi d'acqua: i rii Morto, Rossola e delle Boie, oltre a soffrire d'inquinamento, sono in secca per molti mesi l'anno, tanto da non apparire come elementi caratteristici di particolari ambienti naturali.
Un viaggio alla scoperta delle caratteristiche naturali del territorio pavarolese deve però iniziare con qualche breve accenno alle caratteristiche geologiche della zona.
Pavarolo si trova all'interno della porzione occidentale (la Collina di Torino) di un piccolo rilievo collinare che si sviluppa lungo la sponda destra del Po, in una fascia compresa all'incirca tra Moncalieri e Valenza.
Si tratta di una particolare catena di rilievi, isolata nella pianura piemontese, che si è formata contemporaneamente alle ultime fasi dell'orogenesi (letteralmente formazione di montagne) che ha portato alla comparsa delle Alpi e dell'Appennino settentrionale. ssa è costituita da sedimenti marini che risalgono all'Età Terziaria (principalmente all'Eocene, Oligocene e Miocene, da 55 a 5 milioni di anni fa), e che sono ricchi di fossili (principalmente gasteropodi, cefalopodi e pteropodi), in grado di indicare agli scienziati la profondità e le caratteristiche dei mari in cui essi hanno vissuto.
Alcune domande sorgono perciò spontanee.
Come si è formato il rilievo? Perché le rocce che lo compongono contengono fossili marini? Ciò significa che, un tempo, nella zona c'era il mare? Si tratta di domande comuni, che tuttavia non permettono risposte semplici.
Proviamo ad immaginare com'era 55 milioni di anni fa una zona localizzata nel territorio dove oggi si trovano gli abitati di Pavarolo, Chieri, Pino Torinese, ecc. La Pianura Padana e la stessa Italia, così come noi la conosciamo adesso, non esistevano. C'erano, invece, altre terre emerse, separate tra loro da un mare profondo.
Entro questo mare, vivevano e si sviluppavano, esattamente come oggi,piante ed animali (pesci, molluschi, crostacei), mentre i sedimenti ed i prodotti dell'erosione si depositavano senza fretta. Ed ecco che, assai lentamente, il margine occidentale di questo mare si solleva (con movimenti dell'ordine di 5 mm l'anno) per effetto dei movimenti legati alla formazione della catena alpina.
I sedimenti che si erano depositati sul fondo vengono sollevati, trasportati, e finiscono per emergere alla fine del periodo miocenico, 5 milioni di anni fa.
Il sollevamento, poi, continuò nella parte orientale e meridionale, dando origine alle colline astigiane.
L'abitato di Pavarolo sorge sopra un complesso di rocce sedimentarie marine detto Complesso di Baldissero, una serie di sabbie, argille e conglomerati che si è depositata circa 15-20 milioni fa lungo il margine occidentale del mare cui abbiamo accennato.
Queste rocce ospitano una ricca fauna fossile, soprattutto di gasteropodi, anche se non mancano coralli e cefalopodi: si tratta di resti che testimoniano quanto era ricca di forme e di specie la vita che era ospitata in quel mare preistorico.
Flora
La parte più collinare del comune di Pavarolo, verso Bardassano e Cordova, ha avuto un destino analogo a quello della collina torinese.
"Scoperta" in epoca ottocentesca, con la costruzione delle prime vigne, nelle quali i torinesi potevano trascorrere i fine settimana ed il periodo estivo lontani dalla città, è stata poi al centro di una vivace espansione edilizia, i cui effetti sono facilmente rilevabili anche a Pavarolo.
A farne le spese maggiori è stato il bosco, che in origine ricopriva come un manto ininterrotto tutta la collina: la Silva salsa, che probabilmente si trovava tra Bardassano e Pavarolo, è solo un ricordo, citata su qualche documento antico.
L'attacco al bosco iniziò nel Medioevo, quando pini silvestri e querce, gli alberi più caratteristici di quei popolamenti misti di latifoglie e conifere, cominciarono ad essere abbattuti per fare posto a campi e prati.
Dove il terreno, troppo scosceso, non si prestava alla coltivazione, venne introdotto il castagno, utile sia per i frutti, sia per i pali da usare per sostenere i filari di viti.
Un ulteriore affronto per il bosco collinare avvenne nel '700, quando iniziò ad essere diffusa la robinia (Robinia pseudacacià), cioè la notissima gaggia.
Un seme della pianta, che è originaria dell'America settentrionale e centrale, fu donato a Jean Robin, erborista di Enrico IV di Francia, verso il 1630: egli la fece conoscere in Europa.
La pianta rimase sconosciuta in Italia fin verso il XVII secolo: sulla collina torinese, si propagò in modo massiccio a partire dal 1750, quando lo stesso Carlo Emanuele III ne suggerì la messa a dimora per arginare gli estesi movimenti franosi innescati dalle abbondanti piogge di quegli anni.
Da allora, i contadini furono i migliori alleati della straordinaria vitalità della pianta, diffondendola per trarre vantaggio dalla sua rapidità di crescita, e dalla capacità di produrre buoni pali, foraggio ed ottimo combustibile.
Il colpo di grazia all'equilibrio ecologico della collina, però, venne dato dall'espansione edilizia del dopoguerra, assai più sensibile sul versante torinese: tra case e strade asfaltate il bosco, pesantemente intaccato, progressivamente si ritira.
I boschi che ancora esistono in territorio pavarolese, sovente appaiono piuttosto degradati, anche a causa del governo a ceduo, che impedisce la formazione di una fustaia.
Anche se la robinia è la specie in maggiore espansione, sopravvivono però specie più nobili, che caratterizzano il bosco misto di latifoglie.
Tra esse, citeremo soprattutto il castagno (Castanea saliva) e la farnia (Quercus robur), che caratterizzano i consorzi forestali che si incontrano con maggior frequenza.
Ad essi, aggiungeremo qualche rovere (Quercus petraea), la roverella (Quercus pubescens), il frassino (Fraxinus excelsior), il carpino (Carpinus betulus), l'acero campestre (Acercampestre), l'ontano nero (Alnus glutinosa), il pioppo bianco (Populus alba), il ciliegio (Prunus avium).
Anche il sottobosco si presenta vario ed interessante: vi si trovano in abbondanza il nocciolo (Corylus avellana), il sambuco (Sambucus nigra), la fusaggine (Euonymus europaeus), la frangola (Frangula alnus), il biancospino (Crataegus monogyna), la rosa canina (Rosa carlina), il rovo (Robus fruticosus), l'edera (Hedera helix), le felci (ad esempio Dryopterisfìlix-mas), il ligustro (Ligustrum ovali), per citare solo alcune tra le piante più note.
Fauna
Pur presentando una discreta varietà di specie, la fauna che vive sul territorio pavarolese non presenta particolare interesse.
Tra i mammiferi, è da segnalare la presenza della volpe (Vulpes vulpes), della lepre (Lepus capensis), dello scoiattolo (Sciurus vulgaris), del ghiro (Glisglis), del tasso (Melos melos), della faina (Martes foina), della talpa (Talpa europaea), del riccio (Erinaceus europaeus), del pipistrello (gen. Pipistrellus).
Più vario il panorama per quanto riguarda gli uccelli: tra i rapaci, sono segnalati il gufo (Asio otus), la civetta(Athene noctua), l'allocco (Strix aluco).
A loro, si aggiungono il fagiano (Phasianus colchicus), il colombaccio (Columba palumbus), il cuculo (Cuculus canorus), il pettirosso (Erithacus rubecola), lo storno (Sturnus vulgaris) e, specie in pianura, la gazza (Pica pica), il orvo (Corvus frugilegus) e la cornacchia (Corvus cornis).
Tra i rettili, è degna di nota la presenza dell'orbettino (Anguisfragilis), del ramarro (Lacerici viridis).
Sono presenti anche il colubro di Esculapio (Elaphe longissima longissima), della vipera (Vipera aspis).
Per quanto riguarda gli anfibi, si segnala la presenza della rana dalmatina (Rana dalmatina), del rospo (Bufo bufo) e della salamandra (Salamandra salamandra).
In passato, quando l'azione distruttiva dell'uomo sulla fauna era meno pesante di oggi, anche nella zona di Pavarolo c'era una maggiore varietà di specie animali.
Una testimonianza interessante e preziosa di quali potevano essere gli animali più rari, in particolare uccelli, un tempo presenti nel Chierese, è data dal museo di scienze naturali dell'Istituto della Sacra Famiglia a Villa Brea, alle porte di Chieri.
In esso sono conservate parecchie decine di animali imbalsamati, per la maggior parte provenienti dalla collezione di Francesco Rubatto, che la donò all'Istituto.
Nel museo, si conservano fra gli altri anche un esemplare di falco pescatore (Pandion haliaetus haliaetus) abbattuto nel 1938 presso il lago di Arignano, e un'aquila reale, abbattuta a Mombello Torinese nel 1952.
Si tratta di due rapaci di grandi dimensioni che, nei loro voli alla ricerca di cibo, non è escluso che, qualche volta, abbiano percorso anche i cieli di Pavarolo.
Galleria fotografica
La Susina Purin-a di Pavarolo, chiamata anche “Prugna di San Giovanni” è una drupa color vinoso di piccola pezzatura, dolce, molto gustosa e ampiamente apprezzata dai consumatori di prossimità. Il successo del prodotto deriva sia dalla precocità di maturazione che dal sapore, caratteristiche che hanno permesso alla Susina Purin-a di essere presente in tutte le cascine di Pavarolo fino ad oggi. Il nome Purin-a è un richiamo alla parola “pura” che sta ad indicare sia la spiccata rusticità della pianta tale da richiedere pochissimi trattamenti, sia il fatto che non richiede innesto poichè, essendo molto pollonifera, risulta molto facile moltiplicarla per ceppaia.
La varietà matura attorno al 24 giugno, appena dopo la susina di San Luigi da cui si differenzia per il sapore nettamente migliore e per la colorazione
E’ coltivata a Pavarolo, in particolare nella frazione San Defendente, e meno intensamente in tutta la Collina Torinese
Nel 2021 , su iniziativa dell’Amministrazione Comunale di Pavarolo in collaborazione con FACOLT è nata l’Associazione Produttori Susina Purin-a di Pavarolo il cui direttivo è composto dal Presidente Bruno Bragardo, dal VicePresidente Davide Pacchiega e dalla segretaria Eiriny Ibrahim
La varietà matura attorno al 24 giugno, appena dopo la susina di San Luigi da cui si differenzia per il sapore nettamente migliore e per la colorazione
E’ coltivata a Pavarolo, in particolare nella frazione San Defendente, e meno intensamente in tutta la Collina Torinese
Nel 2021 , su iniziativa dell’Amministrazione Comunale di Pavarolo in collaborazione con FACOLT è nata l’Associazione Produttori Susina Purin-a di Pavarolo il cui direttivo è composto dal Presidente Bruno Bragardo, dal VicePresidente Davide Pacchiega e dalla segretaria Eiriny Ibrahim
1998 - Prima edizione della fiera
2023 - XXVI edizione